Il MAC, occasione da non perdere
Il modello di sviluppo economico basato sulla piccola dimensione dell'impresa mostra delle insormontabili difficoltà nella competizione internazionale e nella capacità di innovazione tecnologica. Il paradosso è che nella società odierna “nano” è il primo elemento di parole composte modernamente, da nanotecnologie a nanopublishing, da nanoelettronica a nanocomputer, ma applicato alle imprese si trasforma nel male endemico del nanismo incapace di cogliere le nuove sfide di internazionalizzazione, capitalizzazione, ricerca e innovazione.
Accrescere la dimensione delle imprese è un problema di economia reale e per prima cosa richiede progetti di investimento materiale e immateriale, motivazioni imprenditoriali e cultura di innovatività. Solo in un secondo momento implica la disponibilità di canali finanziari che forniscano alle pmi le risorse sufficienti in qualità e quantità a consentire la crescita dimensionale. Distinguere il problema economico da quello finanziario è utile in un momento storico in cui la finanza rischia di prevalere sull'industria per il semplice fatto che la prima ti può far guadagnare molto in poco tempo, la seconda ti può far guadagnare il giusto in molto tempo.
Da una recente ricerca di Prometeia commissionata da Carisbo emerge come in Emilia-Romagna ci sia più un problema di apertura al capitale di rischio, piuttosto che di solidità del tessuto industriale. Le pmi di questa regione, specie quelle delle province di Bologna, Reggio Emilia e Parma, crescono in modo più rapido rispetto alle concorrenti italiane sia nel fatturato che nella quota di esportazioni, ma manifestano ancora una debolezza nella struttura finanziaria.
Fino ad ora il finanziamento bancario è risultato poco adeguato a finanziare processi di innovazione e cambiamento, il private equity ha celato troppe paure verso le strategie di “way-out” scelte dai fondi, la quotazione in Borsa ha tracciato una via accessibile solo alle imprese mature. Nella convinzione che il capitale di rischio sia sempre più decisivo per la crescita delle pmi è nato da pochi mesi il cosiddetto Mercato Alternativo dei Capitali (MAC), un sistema di scambi organizzati, gestito da Borsa Italiana e riservato agli investitori professionali, fondato su semplicità d'accesso per le pmi e su un forte collegamento con le banche del territorio autorizzate (sponsor). Per essere “quotata” sul MAC l'impresa dovrà: essere costituita in forma di società per azioni; garantire la libera trasferibilità dei titoli avendo dematerializzato e accentrato le azioni presso il Monte Titoli; disporre dell'ultimo bilancio certificato da una società di revisione iscritta all'albo Consob; e rivolgersi ad una banca sponsor che presenterà la domanda di ammissione al MAC. La procedura richiederà un tempo massimo di sei settimane. Una volta collocata sul MAC le negoziazioni avverrano in forma d'asta telematica con periodicità settimanale. Il lotto minimo avrà un controvalore di 50 mila euro.
Perdere anche questa occasione potrebbe dare prova che il problema non risiede nelle caratteristiche tecniche degli strumenti, ma nell'incapacità culturale delle imprese di aprirsi al mercato con trasparenza e rivelare perdite e guadagni reali.
2 commenti:
Se ho ben capito è un'occasione da non lasciarsi scappare: infatti fornirebbe agli imprenditori una nuova via semplificata per accedere al capitale, con un costo più basso e senza rinunciare all’indipendenza e alla gestione della propria azienda.
Un modo per valorizzare le relazioni tra l'ambiente dell'imprese e i suoi stakeolders attivi sul territorio.
Potrebbe essere una vetrina per quelle imprese che vogliono proporsi ad investitori italiani e stranieri più grandi ed il tutto operando sui mercati dei capitali con un’ottica di medio e lungo termine.
Sarebbe un modo per superare decenni di vincoli che oggi frenano lo sviluppo rafforzando l’economia italiana.
Ma non ci si poteva pensare prima?
Ciao Marco, interessante e affascinante il Mac. Nella mia professione ho avuto modo di incrociarlo e di valutarne le possibilità. Rispetto al Private Equity ha il grosso vantaggio di lasciare indipendente l'azienda ma nel mio intervento voglio sottolineare le criticità di tale meccanismo.
1) non vedo perchè una banca che ha per le mani una pmi che corre e con un buone prospettive di crescita voglia perdere il ruolo di banca di riferimento per farsi sponsor in un mercato azionario: meglio concedere finanziamenti, fare indebitare fino al collo l'impresa e poi lucrare sugli extraprofitti futuri.
2) è un mercato in cui la volatilità delle azioni sarà scarsa e allora qual'è l'interesse delle finanziarie nell'investimento? per di più le pmi che crescono non distribuiscono utili semmai accrescono il valore della singola azione ma questo è un processo che avviene nel tempo. Ricordo che un business plann serio richiede almeno 4-5 anni per la sua realizzazione.
3) credo che il problema non sia culturale, non sia dovuto alle pmi, che anzi conoscono bene i propri limiti e le proprie possibilità. Credo che il problema sia il mondo finanziario che si è completamente scollegato dalla realtà: non finanzia più i progetti (che hanno tempi di realizzo lunghi) ma preferiscono le speculazioni.
4) il Mac in se per se non è una novità in assoluto. Anche se molto più "burocratico" la Borsa It. già ha un settore dedicato alle Pmi (Expandi) e fino ad ora non ha riscosso molto successo.
5) ad un anno dal suo ingresso il Mac ha accolto solo 3 aziende.
6) Il Mac nasce ad imitazione dell'AIM di Londra: mercato azionario delle Pmi in cui sono quotate 1.600 società. Perchè in Inghilterra funziona e in Italia no?
E' questa la domanda a cui dovremmo dare risposta. Quali limiti ci impediscono di crescere? sono davvero le barriere culturali delle imprese? (ricordo che in Italia i neolaureati vengono assunti per le fotocopiare documenti). O sono piuttosto le barriere e conservatorismi di chi preferisce lo status quo?
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