martedì 6 marzo 2007

Private equity
Non solo soldi

I processi della globalizzazione e della terza rivoluzione industriale, legata allo sviluppo delle nuove tecnologie, ci hanno fatto entrare nell'epoca post-fordista ed hanno portato con sé problemi nuovi con cui anche l'imprenditoria emiliano-romagnola ha delle difficoltà a confrontarsi: allargamento dei mercati e nanismo delle imprese, assetto interno delle strutture produttive, ricambio intergenerazionale. La risposta a questi tre nodi non può essere declinata solo sul piano finanziario, poiché nel post-fordismo il principale asset specifico per la creazione di valore d'impresa è il lavoro creativo e non più il capitale. Uno degli strumenti innovativi per la crescita e lo sviluppo delle pmi è quello dei fondi di private equity, sviluppati per coniugare la richiesta sia di nuovi finanziamenti che di una nuova governance con supporti professionali e relazionali capace di cambiare radicalmente il modello organizzativo delle imprese.
Il mondo del venture capital e del private equity, sviluppatosi negli Stati Uniti sin dagli anni '80 dove oggi può contare su 2.500 miliardi di dollari di capitali a disposizione (in Europa il private equity è arrivato più tardi e vale appena 500 miliardi di euro), rappresenta per le pmi un'alternativa al reperimento di mezzi finanziari tradizionali, al fine di accrescere la propria dimensione e competere sui mercati. Gli operatori di private equity e venture capital non apportano però solo capitale finanziario, ma soprattutto capitale umano. Il loro scopo è di entrare nella società attraverso l'investimento di capitale di rischio e di far crescere l'azienda grazie alla esperienza maturata nei vari settori. Gli operatori di venture capital entrano nel capitale dell'impresa attraverso operazioni di early stage finalizzate a finanziare la sperimentazione di una nuova idea (seed) e la nascita di una nuova impresa (start-up). Gli operatori di private equity, invece, entrano nel capitale di un'impresa con un ciclo di vita successivo a quello iniziale. A seconda degli obiettivi di investimento, si distinguono tre tipologie di operazioni. L'operazione di expansion è rivolta a sostenere la crescita e l'implementazione di progetti di internazionalizzazione, partnership e joint-venture in aziende già esistenti attraverso un aumento di capitale. Le altre due operazioni sono attuate per modificare l'assetto proprietario, ad esempio in vista di un passaggio intergenerazionale, e non per aumentare il capitale. Con il replacement il fondo di private equity sostituisce una parte dell'azionariato di minoranza. L'operazione di buy out permette al fondo di entrare nel capitale di rischio dell'impresa rilevando una quota di maggioranza, assumendone quindi il controllo totale.
Il dibattito sul private equity si fa ogni giorno sempre più vivo. Da un lato i misoneisti, avversi ad ogni forma di novità e innovazione, i quali sostengono che i fondi di private equity sono i “barbari” del nuovo millennio, sono già ora i veri padroni di Wall Street e solo da poco stanno determinando la geografia economica dei paesi europei. Dall'altro, invece, i filoneisti, talvolta tendenti ad approvare in modo acritico tutto ciò che costituisce novità, i quali vedono nel private equity l'unico spiraglio per far ritornare i nostri territori alla spiccata vocazione industriale.
Con tutta sincerità, “quello che verrà domani non me lo ricordo”.

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